Dannati, 1934
Olio su carta, 32 x 21 cm
Firmato in basso a sinistra: “Cagli”
Roma, Collezione privata
Nudo il cielo, nuda la terra e nuda la folla che invano s’aggira tra due misteri: alto come basso. L’artista inquadra brani di solitudini diverse e verifica la globale condizione dell’estrema miseria, consapevole d’essere nuda alla meta e dover restare tale per l’eternità.
Ogni dannato è lo specchio dell’altro, della inseparabilità della disperazione scontata singolarmente. C’è chi non vorrebbe sentire, chi non vorrebbe vedere, chi dovunque volge le spalle sa di trovarsi tra infiniti dolori e di incontrarne altri.
Dannato è chiunque perde la speranza. Altri dannati avrebbe visto Cagli nei campi di sterminio, nude larve d’uomini deconnotati d’ogni dignità. Cagli conobbe gli effetti dell’odio. Sbigottì in quell’inferno dei vivi, che nessun poeta avrebbe mai potuto descrivere o immaginare seguendo l’estro fantastico.
Lo stesso Dante avrebbe detto: “qui all’alta fantasia mancò la possa”. Ma tra quegli scheletri viventi, sottratti ad ogni valore, c’era almeno il senso del tempo. Tra i dannati non c’è misura d’ora; dispera il desiderio; inesorabile è il verdetto per le isolate compresenze, strette a se stesse nel divieto di desiderare: “perdete ogni speranza voi che entrate”.
( Cagli nel centenario della nascita, a cura di A. Calabrese. )