La morte di maggio, 1939
Olio su carta, 43 x 35 cm
Firmato in basso a sinistra: “Cagli”
Roma, collezione privata
Letta in uno specchio, questa pagina, sicuramente allegorica, allude ad un Icaro precipitato dall’alto, per il quale non vale da appiglio esistenziale la destra tenace che gli stringe il polso. Sono mute le labbra dell’uomo che fissa il volto riverso del giovane, dai cui occhi scorrono, innaturalmente, le lacrime di sangue che scivolano sulla fronte e invadono i capelli.
O morte mia
sii l’espiazione di tutte le colpe
inquietudini e trasgressioni
di cui mi son reso colpevole
prima del punto estremo…
Suonano come viatico queste parole. Intanto la forza dell’immaginario, così terso e misterioso, è significativa anche del fatto che tante volte non ce ne rendiamo conto e non riconosciamo tanti di quegli errori che vivendo commettiamo.
Il problema si chiarifica nelle estreme parole che Manzoni pone sulle labbra di Adelchi: “Gran segreto è la vita e nol comprende che l’ora estrema”.
Intanto a quelli che ci “devono lacrime da uomo a uomo” (Quasimodo), è giusto chiarire che, essendo uomini, nulla di ciò che è umano ci è estraneo, finché non si ferma il tempo e all’ala inerte non si disserra l’eternità.
( Cagli nel centenario della nascita, a cura di A. Calabrese. )