Orfeo incanta le belve, 1938
Carboncino su carta intelata, 315 x 235 cm
Cartone per l’affresco alla 21° Biennale di Venezia
Roma, Collezione privata
Cagli lo conferma: Apollo è solo. La sapienza veggente è una conquista, mai un’eredità. Un artista, nel suo viaggio verso la luce, s’avvede che la sua solitudine non è dissimile da quella del divino Sole, unica fonte di vita per il nostro pianeta. Il Sole è solo come sua sorella la Luna, l’Una.
Il dio solare che armonizza le Muse, ispiratrici di tutte le arti, è una divinità com-plessa che rende sinestetiche tutte le potenze vitali. Il suo equilibrio è sulle vette della suprema spiritualizzazione e vince la violenza; coniuga passione e ragione; segna la per¬fezione identificata nel numero sette. È infatti nato nel settimo giorno del mese, Eschilo lo chiama “augusto dio settimo, dio della settima porta” (I sette contro Tebe), la sua lira ha sette corde. Sette volte i sacri cigni girarono intorno alla vagante isola Asteria, prima che Zeus la rendesse stabile col nome di Delo e accogliesse il neonato Apollo.
Il dio dell’arco d’argento, che raggi di sole dardeggia e domina gli opposti, sicché nella sua luce la saggezza è miracolo, orienta, da lui resi docili, la superbia e l’istinto delle belve. Dona lume ad ogni bestione tutto stupore e ferocia che comincia ad ac¬quistare umanità e fonda templi, sacri culti e rende onore alle tombe dei forti.
Platone onora Apollo ombelico del mondo, centripeto a guidare il genere umano sulla retta via. Apollo-Sole transita sulle estreme impurità della terra e mai si contamina; da qui l’appellativo che deriva dal verbo greco apollumi, indicativo di ogni possanza che mai perde la sua purezza. Apollo-Febo fa tanta paura: è vate, infatti, che sa il futuro e conosce i pensieri dei mortali, per cui dona amore non corrisposto solo perché ogni umano sentimento è gelosamente custodito negli intimi pensieri e non c’è persona che consenta d’essere scrutata nella mente. Apollo è solo, bello nel dolore che lo assimila a sua sorella la Luna. Solo canta a se stesso sulle deserte cime dei monti, dove hanno accesso solo le belve. Eccole prese dall’incantamento della lira: alle dolci note la forza bruta s’accosta docile e domata s’arrende. All’apollineo richiamo accor¬rono i cavalli bradi e i leoni: la forza si raccorda alla bellezza.
Intanto il sole, che si autoconsuma, come l’artista al fuoco della sua ispirazione, canta per sempre un vagheggiato amore. Quello difficilmente corrisposto, perché a nessuna fanciulla, anche se fiorisce in tutti i pensieri dell’amante, piace che l’innamo¬rato la conosca nella più segreta intimità.
( Cagli nel centenario della nascita, a cura di A. Calabrese. )